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Strutturalismo

Orientamento  teorico e metodologico che muovendo dall'assunto che all'interno di ogni realtà sia essa di ordine fisico, biologico o culturale  gli elementi costituenti stanno in un rapporto di reciproca interdipendenza e interazione, ricerca all'interno di essa gli elementi costanti che, condizionandosi e interagendo, ne costituiscono l'organizzazione, ossia la struttura.

Introdotto all'inizio del nostro secolo in linguistica, lo strutturalismo è diventato strumento di indagine in numerosi campi, soprattutto delle scienze umane, con modalità e strumenti diversi, tanto da diventare un concetto tutt'altro che univoco, se non nella definizione dei criteri metodologici: la totalità, per cui la globalità dell'insieme è sempre qualche cosa di diverso rispetto alla somma delle funzioni dei singoli elementi, l'immanenza nel senso della esclusione del ricorso ad elementi interpretativi esterni alla struttura, la sincronia come momento privilegiato di ricerca.

Strutturalismo



Struttura

Insieme di elementi in cui ciascuna delle parti svolge attività, o meglio, funzioni strettamente legate da rapporti di reciproche dipendenze con le altre, così che il risultato finale dipende dall'armonica connessione delle singole funzioni e dal ruolo di mediazione svolto dall'intero organismo.





copertina e-book tra il cristallo e la fiamma


copertina della Consistenza

Tra il cristallo e la fiamma


Copertina Eros al femminile

 

1 Strutturalismo e scienze umane

Sulla scia delle analisi saussuriane si sviluppa in Europa un vasto movimento teorico che superando l'ambito d'origine riesce a permeare l'intero sistema delle scienze umane, raggiungendo i più fecondi risultati nella Francia degli anni Cinquanta e Sessanta.

Equilibri funzionali, strutture profonde, catene di relazioni, costanti, indipendenti da storia e geografia, da tempo e spazio, forniscono strumenti interpretativi alla  psicologia, all'antropologia, alla sociologia, alla semiotica, alla critica letteraria... diventando spesso bersaglio polemico dei detrattori, disorientati dalla  prospettiva antistoricistica e antiumanistica dello strutturalismo.

L'individuazione di strutture indipendenti all'agire dell'uomo, l'evidenziazione dell'incidenza e del ruolo assolto nelle esperienze e nei rapporti umani dalle strutture, inseriscono l'uomo in una realtà regolata da una catena di relazioni e di equilibri sottratti ai suoi propositi e ai suoi intendimenti postulati dalla prospettiva antropocentrica della visione umanistica.






2 Un percorso attraverso lo strutturalismo

Il primo campo di applicazione dello strutturalismo al di fuori della linguistica che trova negli studi di Saussure, della scuola di Copenagen, della Scuola di Praga, di Jakobson  e di Chomsky i suoi santuari, è stata l'antropologia con le ricerche di Levi-Strauss, diventati punto d'incontro anche per altri ambiti di ricerca, quali per esempio la prospettiva psicanalitica di Lacan. Se Lévi-Strauss e Lacan parlano di strutture transindividuali, lasciando intravedere uno spirito umano e un inconscio collettivo sempre uguali a se stessi, Piaget sottolinea una funzione dinamica della struttura che esclude ogni innatismo.

I procedimenti metodologici utilizzati in campo linguistico non potevano non produrre suggestioni nell'ambito della critica letteraria orientata da un lato verso l'individuazione della struttura globale dell'opera o della struttura di un genere letterario (Propp con la fiaba, Barthes con il racconto) e dall'altro verso l'analisi degli aspetti formali del testo (il formalismo russo, sia pure attraverso canali autonomi).

Gli strumenti della linguistica strutturalista (norma-scarto, stratificazione di linguaggi, registri) non mancano di fornire suggestioni alla critica stilistica anche nella versione della variantistica (vedi Contini), alla lettura sociolinguistica di Auerbach, al formalismo di Bachtin, spesso in un complesso intreccio di reciproci rimandi difficilmente districabili, alla critica tematica di Starobinski,  e a quei filoni che fanno variamente riferimento a Barthes, come il gruppo di «Tel Quel», la «nouvelle critique», il «nouveau roman» o le teorie del testo e della scrittura.

Dall'universo barthiano muove anche la semiotica, che ha esteso il campo di applicazione dei criteri strutturalisti dalla linguistica al più complesso mondo dei segni dove non sono mancati gli apporti della combinatoria di Queneau e del gruppo dell'Oulipo e i contributi della cultura italiana in cui spiccano i nomi di Eco e del Calvino di Se una notte d'inverno e del Castello.

Non sono mancati punti di congiunzione della linguistica strutturalistica con la teoria dell'informazione dove lo studio statistico delle ricorrenze mette in evidenza come il linguaggio comune esprima un massimo grado di ridondanza, mentre il linguaggio letterario tende verso un massimo grado di entropia.

Il panorama fin qui tracciato si propone semplicemente di indicare un possibile percorso attraverso lo strutturalismo utilizzando autori o tendenze presenti nell'ipertesto.

Per un panorama meno incompleto occorre almeno ricordare i contributi di Foucault che nel tracciare le dinamiche sociali e culturali del nostro tempo poneva in evidenza le costanti del rapporto tra sapere, potere e repressione e di Althusser - che per altro rifiutava l'etichetta strutturalista - il quale oltre ad aver fornito una interpretazione strutturalista del marxismo, ha evidenziato le relazioni intercorrenti tra le varie istituzioni (economia, religione, cultura...) presenti nella società.






 3 Lo strutturalismo di Calvino

Riportiamo un passaggio (pp. 206-208) di Tra il cristallo e la fiamma che inquadra lo strutturalismo di Calvino.

Quando si parla del secondo Calvino vien da pensare allo strutturalismo, alla semiologia e a quella «rete di rapporti intellettuali» che lo stesso Calvino «rappresenta nel nome di Queneau»[1] e che alcuni hanno voluto vedere come un tributo a un clima diffuso o a una moda rampante.

Anzi proprio il diffondersi della moda ha facilitato la liquidazione del gioco combinatorio di Calvino come una delle tante manifestazioni, neanche tanto originale per qualcuno, di quel clima, quando non ha provocato l’alzata di scudi contro il tradimento di Calvino del suo stesso senso della storia e dell’impegno.

In realtà il quadro combinatorio di Calvino è molto più complesso e non è mancato chi ne ha evidenziato l’originalità. Calvino, l’abbiamo visto con Virel, distilla dai diversi sistemi ciò che gli serve e riplasma il tutto in qualcosa di nuovo.

Particolarmente confacente al nostro discorso è l’attenzione sollevata a proposito delle Città invisibili da Marina Zancan verso il ruolo che la scoperta del caso, già ammiccante nella Giornata d’uno scrutatore, ha avuto nel quadro combinatorio di Calvino.

La scoperta che il mondo si compone di parti separate e intercambiabili (e di quel mondo è parte il pensiero, combinazione di impulsi discontinui), porta inscritta in sé, come possibilità unica di conoscere la realtà (e di riconoscere noi come parte di essa), quella di un discorso sul mondo che, giocando con la duplicità dei segni, sveli la convenzionalità degli oggetti. L’approdo di Calvino ad una teoria della letteratura e a una pratica della scrittura come gioco combinatorio — di cui le Città rappresentano l’esito compiuto — ha dunque origine dalla scoperta del caso come fattore che combina le dicotomie della storia, o le parti separate del mondo, o i segmenti discontinui di una vita.[2]

Il caso o il fato come lo concepivano gli arcaici, il fattore imperscrutabile che sovrasta tutti, uomini e dei, sovrasta la combinatoria di Calvino.

Che il mondo si componga di parti separate che vengono congiunte attraverso un processo in cui il caso entra come elemento determinante, è soggiacente a Cibernetica e fantasmi, ma resta un nodo d’idee suggerito dall’istinto poetico, piuttosto che osservato dalla lucidità della ragione. Il caso prima dell’avvento della teoria dell’informazione è un elemento di disturbo, qualcosa da esorcizzare e difficilmente accettabile come costitutivo della realtà, perché il rumore, il caso, l’evento aleatorio, l’imponderabile vanifica la possibilità dell’uomo di determinare gli accadimenti. Il caso è frutto della nostra ignoranza, della nostra incapacità di giungere altrimenti a spiegazioni esaurienti e a cause plausibili.

La conferenza di Santillana allora potrebbe essere giunta a puntino perché nel fato degli arcaici si nasconde quello stesso caso che viaggia come un nodo di idee in Cibernetica e fantasmi senza giungere a una definizione. Nel fato c’è l’accettazione dell’imponderabile, dell’ineluttabile, dell’imperscrutabile come fattore costitutivo della realtà, tanto più che la conferenza di Santillana dimostra che il fato non è semplicemente un’immagine fantasiosa ma è costruita su una rigorosa osservazione degli eventi celesti. C’è la scienza di allora dietro il fato, c’è un sistema di conoscenze ritenuto sufficientemente completo e coerente.

Il fato o il «caso come fattore che combina le dicotomie della storia, o le parti separate del mondo, o i segmenti discontinui di una vita» dà un senso alle combinatorie. Queste non sono un puro gioco ma il principio costitutivo della varietà del reale nel quale il caso gioca un ruolo determinante. Le combinatorie di Calvino non sono riducibili a una moda targata anni sessanta. E questo Calvino lo sottolinea in blu.

Non può essere casuale che altrove così sfumato nelle indicazioni temporali autobiografiche Calvino sia qui così circostanziato: nella Leggerezza parla genericamente dei suoi esordi («Quando ho iniziato la mia attività»[3]), nella Rapidità è ancor più vago:«Se in un’epoca della mia attività letteraria sono stato attratto dai folktales».[4] Qui non affida al processo ricorsivo del lettore la determinazione temporale, ma nel giro di quattro righe insiste con ben due date: il 1963 l’anno della conferenza di Santillana e il 1960 l’anno della prima visita negli Stati Uniti. Se il tempo («nel 1963») accanto al luogo («in Italia») può essere funzionale nell’individuazione della conferenza, è senz’altro pleonastico per quanto riguarda la sua prima visita negli Stati Uniti, che non richiedeva certo, per lo meno rispetto ad altre circostanze non meno significative lasciate sfumate, una definizione così puntigliosa.

Tale ridondanza non può che attirare l’attenzione sugli anni della svolta, sul nodo di idee svelato da Santillana, sul peso che quel nodo di idee ha avuto sulla sua svolta che è proprio di quegli anni.

Con la dichiarazione puntuale delle coordinate temporali Calvino concentra l’attenzione su un aspetto poco noto e poco riconosciuto delle sue scacchiere ossia la presenza del caso definita con il fato di Santillana e lascia intuire che il percorso delle Città invisibili, il libro in cui il suo quadro mitologico generale (di cui è sostanza il fato) esce meglio compiuto, data da quegli anni.

Non a caso Santillana e Le città invisibili («Il mio libro in cui credo d’aver detto più cose») aprono e chiudono gli estremi della trattazione del quadro mitologico come a marcare ulteriormente questo rapporto.

Le scacchiere di Calvino non derivano soltanto dalla moda combinatoria dello strutturalismo. Calvino ha sempre piegato a suo modo i vari imperativi o le varie tendenze. Sulle sue scacchiere confluiscono il fato e il caso, la saldatura tra passato e presente.

Sulle sue scacchiere confluisce un atteggiamento mentale antico quanto l’uomo che è quello di conoscere e ordinare i segmenti della realtà, di attribuire loro un senso, di dare un senso al disordine e di riconoscere il limite delle possibilità umane.

Per questo come è riduttiva l’etichetta di surrealismo per Calvino, è riduttivo assimilare le sue scacchiere a un gioco, perché su di esse come sullo scudo di Perseo si riflette la realtà, anche se compressa nella sua grumosa continuità che ha reso grandi altri, perché la realtà (e della realtà è parte il pensiero) non è lineare «come un fiume che scorre o un filo che si sdipana»[5] ma si compone di parti separate e intercambiabili sulle quali aleggia il peso imperscrutabile del caso.


Una duplice matrice

La posizione speculare dei brevi testi delle Città invisibili e di Palomar al quadro mitologico di Santillana è significativo anche per altri aspetti. La prassi dell’autoreferenza nascosta o palese diffusa nelle Lezioni, di particolare rilevanza nel definire il profilo dello scrittore, con le Città invisibili e Palomar fornisce la dimostrazione evidente che è di scarsa rilevanza, se non del tutto insussistente quello iato (o quella schizofrenia) rilevato da Garboli tra il «dominio del Calvino ideologo, saggista, uomo di cultura, editore» attento a «quanto d’irrecusabile, di drammatico, di evolutivo contiene la realtà» e il dominio del Calvino narratore, «che gioca con le parole trattandole come dei pezzi sulla scacchiera».[6]

Calvino traduce in scrittura il suo pensiero di ideologo e saggista. «Giustamente, Mengaldo ha scritto che “la scrittura di Calvino critico è della stessa razza del narratore”».[7] E giustamente Paolo Spriano ha scritto che «spesso la divisione tra saggistica e narrativa per lui sarebbe del tutto esterna, persino pretestuosa, ché è facile vedere come il narratore si mischi al saggista quasi in ogni pagina».[8] Lo dimostra in modo lampante Palomar, prezioso anello di una catena ai cui estremi stanno La giornata d’uno scrutatore e le Norton, capace di coniugare originalmente il saggio con il racconto, tanto da renderli intercambiabili. In ogni caso sia nel saggio che nel racconto, per quanto scorporata e ridotta in forme astratte e in linee di forza, è sempre la realtà, il mondo non scritto, a prendere forma nel mondo scritto di Calvino.

«È per rimettere in moto la mia fabbrica di parole che devo estrarre nuovo combustibile dai pozzi del non scritto» afferma nella conferenza pronunciata nel marzo del 1983 alla New York University, che anticipa in larga misura i vettori di fondo dell’Esattezza.[9] E ancora: «La vera sfida per uno scrittore è parlare dell’intricato groviglio della nostra situazione usando un linguaggio che sembri tanto trasparente da creare un senso di allucinazione, come è riuscito a fare Kafka».[10]

Le Città sono la prova più evidente della duplice matrice della narrativa di Calvino: le sue scacchiere non si esauriscono nella combinatoria e nelle simmetrie, nelle forme perfette del loro disegno, ma si comportano come catalizzatori della realtà. Le Città e in particolare la pagina finale in cui Marco Polo decodifica le scacchiere, hanno reso lo stesso Calvino consapevole della natura diadica della sua narrativa, della biforcazione che connotava la sua ricerca dell’esattezza.

Dal momento in cui ho scritto quella pagina mi è stato chiaro che la mia ricerca dell’esattezza si biforcava in due direzioni. Da una parte la riduzione degli avvenimenti contingenti a schemi astratti con cui si possano compiere operazioni e dimostrare teoremi; e dall’altra parte lo sforzo delle parole per render conto con la maggior precisione possibile dell’aspetto sensibile delle cose.[11]

Ma quella pagina gli ha anche esplicitato che la duplice matrice dell’esattezza appartiene alla sua struttura profonda, tant’è che da sempre è stata presente e ben prima della conversione alle combinatorie.

In realtà sempre la mia scrittura si è trovata di fronte due strade divergenti che corrispondono a due diversi tipi di conoscenza: una che si muove nello spazio mentale d’una razionalità scorporata, dove si possono tracciare linee che congiungono punti, proiezioni, forme astratte, vettori di forze; l’altra che si muove in uno spazio gremito d’oggetti e cerca di creare un equivalente verbale di quello spazio riempiendo la pagina di parole, con uno sforzo di adeguamento minuzioso dello scritto al non scritto, alla totalità del dicibile e del non dicibile.[12]

Chi ritiene esteriore l’adesione di Calvino allo strutturalismo, chi la considera un ammiccamento alla moda imperante oltralpe ha di che ricredersi. Le scacchiere non sono fine a se stesse. Dietro il loro artificio si erge la realtà come ben addita Marco Polo a Kublai Kan nel suo fluente eloquio della cornice delle Città, che Calvino riporta nell’Esattezza, a ridondarne la duplice valenza. Certo, una realtà non stagliata nello stile grumoso di Balzac, Proust o Gadda - Calvino non affida alla mimesi la specificità della letteratura - ma nel suo stile essenziale e trasparente, che tiene compressa nel testo la grumosità per lasciarla fluire nelle libere associazioni del lettore.

Le scacchiere sono la forma del quadro mitologico sul quale Calvino dispone la realtà con le stesse leggi di crescita dell’universo: le regolarità, le forme geometriche, le simmetrie, le serie, la combinatoria, le proporzioni numeriche già imitate nel gioco degli scacchi tutti d’oro degli antichi.


Note


[1]  M. Zancan, Le città invisibili di Italo Calvino, cit., p. 914.
[2]  Ivi, p. 912.
[3]  I. Calvino, Lezioni americane, cit., p. 5.
[4]  Ivi, p. 37.
[5]  I. Calvino, Saggi, p. 209.
[6]  C. Garboli, Plutone nella rete, p. 12.
[7]  S. Perrella, Calvino, Laterza 1999, p. 164.
[8]  P. Spriano, Le mutazioni di Calvino, «Corriere della Sera», 24 febbraio 1987.
[9]  I. Calvino, Saggi, cit., II, p. 1867.
[10] Ivi, p. 1872.
[11] I. Calvino, Lezioni americane, cit., p.72.
[12] Ibidem.






Voci correlate


La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.

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