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Giordano Bruno

Bruno Giordano (1548-1600) filosofo della tradizione magica rinascimentale.

L'universo è infinito, la terra è un astro in movimento al pari degli altri pianeti e mondi che sono infiniti, come la potenza divina di cui la natura è un'ombra. La mente dell'uomo è divina, in essa è impressa l'organizzazione dell'universo, catturabile attraverso il potere dell'immaginazione.

Condannato e arso come eretico in Piazza di Spagna a Roma il 17 febbraio 1600.


I. Calvino, Lezioni americane, Esattezza

L’affermazione di Flaubert, «Le bon Dieu est dans le détail» la spiegherei alla luce della filosofia di Giordano Bruno, grande cosmologo visionario, che vede l’universo infinito e composto di mondi innumerevoli, ma non può dirlo «totalmente infinito» perché ciascuno di questi mondi è finito; mentre «totalmente infinito» è Dio «perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente».


I. Calvino, Lezioni americane, Visibilità

Ma c’è un’altra definizione in cui mi riconosco pienamente ed è l’immaginazione come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere. Nella trattazione di Starobinski questo aspetto è presente là dove viene ricordata la concezione di Giordano Bruno. Lo spiritus phantasticus secondo Giordano Bruno è «mundus quidem et sinus inexplebilis formarum et specierum» (un mondo o un golfo, mai saturabile, di forme e d’immagini). Ecco, io credo che attingere a questo golfo della molteplicità potenziale sia indispensabile per ogni forma di conoscenza. La mente del poeta e in qualche momento decisivo la mente dello scienziato funzionano secondo un procedimento d’associazioni d’immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile. La fantasia è una specie di macchina elettronica che tiene conto di tutte le combinazioni possibili e sceglie quelle che rispondono a un fine, o che semplicemente sono le più interessanti, piacevoli, divertenti.


Giordano Bruno ci ha spiegato come lo «spiritus phantasticus» dal quale la fantasia dello scrittore attinge forme e figure è un pozzo senza fondo; e quanto alla realtà esterna, la Commedia umana di Balzac parte dal presupposto che il mondo scritto possa costituirsi in omologia del mondo vivente, di quello di oggi come di quello di ieri e di domani.


copertina e-book tra il cristallo e la fiamma


copertina della Consistenza

Tra il cristallo e la fiamma


Copertina Eros al femminile


1 Il pensiero di Bruno

«In uno dei primi interrogatori da parte degli inquisitori veneziani Bruno fece un'esposizione assai ricca e franca della sua filosofia, come se si rivolgesse ai dottori di Oxford, di Parigi o di Wittenberg. L'universo è infinito, poiché l'infinita potenza divina non può produrre un mondo finito. La terra è un astro, come fu detto da Pitagora, simile alla luna ed agli altri pianeti e mondi che sono a loro volta infiniti. In questo universo esiste una provvidenza universale in virtù della quale ogni cosa in essa compresa vive e si muove, e questa natura universale è ombra o vestigio della divinità, di Dio, che nella sua essenza è ineffabile e inesplicabile. Gli attributi della divinità Bruno li intende – al pari dei teologi e dei più grandi filosofi – come “una medesma cosa”. I tre attributi della “potenza, sapienza e bontà” sono lo stesso che “mente, intelletto ed amore”» (F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Biblioteca universale Laterza, 1985, p. 379).

Dal punto di vista della fede Bruno si dichiara ortodosso per quanto concerne il Padre o la mens, non crede che il figlio della mens chiamato intelletto dai filosofi e Verbo dai teologi si sia incarnato in Cristo e, analogamente alla tradizione dei cristiani neoplatonici, ritiene l'anima mundi o spirito divino.

«Questa tendenza a considerare il Filius Dei degli ermetici non come la seconda persona della Trinità cristiana è la ragione teologica di fondo dell'accezione puramente “egiziana” dell'ermetismo di Bruno per il quale la religione egiziana ermetica non si configura come una prisca theologia precorritrice del Cristianesimo ma come l'unica vera religione» (F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p. 380), che Bruno pensava di poter restaurare con tutta la sua carica magica in un contesto cattolico.

La stessa croce a quattro braccia - simbolo dei cristiani - apparteneva alla dea Iside e Mosè aveva imparato così bene la magia dai maghi del faraone da superarli in potenza. Cristo stesso era un mago.






2 Bruno e il copernicanesimo

Frances Yates ritiene che l'origine della condanna di Bruno da parte dell'Inquisizione non sia da ricercare nella professione di copernicanesimo, ma nel particolare significato che Bruno attribuiva al copernicanesimo come riscoperta della religione magica egizia.

Se il movimento della terra fu uno dei punti per cui Bruno venne condannato, da questo punto di vista il suo caso è completamente diverso da quello di Galileo, anch'egli costretto a ritrattare l'affermazione circa il movimento della terra. Le opinioni di Galileo erano basate su genuini studi matematici e meccanici; Locandina del fil di Montaldo su Giordano Brunoegli visse in un diverso clima intellettuale rispetto a Giordano Bruno, in un clima in cui le «intenzioni pitagoriche» e i «sigilli ermetici» non entravano affatto e in cui lo scienziato raggiungeva le sue conclusioni su un terreno genuinamente scientifico. La filosofia di Bruno non può essere separata dalla sua religione. Essa era la sua religione, la «religione del mondo», che egli vedeva in questa forma dilatata dell'universo infinito e dei mondi innumerevoli, come una gnosi più vasta, una nuova rivelazione del divino nelle «vestigia». Il copernicanesimo fu un simbolo della nuova rivelazione che doveva significare un ritorno alla religione naturale degli Egiziani, ed alla sua magia, entro un contesto che Bruno così stranamente suppose di poter identificare con quello del cattolicesimo.
Perciò la leggenda secondo cui Bruno venne perseguitato come pensatore filosofico e venne messo al rogo per le sue temerarie opinioni sui mondi innumerevoli o sul movimento terrestre non regge più. [...]
Sul piano morale, la posizione di Bruno resta incrollabile. Egli fu infatti il discendente dei Magi rinascimentali e si battè per la dignità dell'uomo nel senso della libertà, della tolleranza, del diritto dell'uomo a difendere le proprie idee in qualunque paese e a dire ciò che pensa, senza riguardo verso alcuna barriera ideologica. E Bruno come mago, si schierò per l'amore, in contrasto con ciò che i pedanti di ogni specie avevano fatto del Cristianesimo, la religione dell'amore (F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, pp. 384-5).





3 La cena delle ceneri

Scritto sotto forma di dialogo come Lo spaccio della bestia trionfante nel 1584 durante la sua permanenza in Inghilterra, La cena delle ceneri è una satira che riflette la polemica di Bruno con i dottori di Oxford (che aveva incontrato durante le sue peregrinazioni in Europa) sulla teoria copernicana.

La teoria copernicana annuncia per Bruno il risorgere vittorioso Copertina della Cena delle ceneridella verità egiziana (ossia l'ermetismo), soffocata dalle tenebre dei cristiani, la verità del sole come Dio visibile. Bruno stesso è profeta e guida di questo movimento, lui che “ha compiuto l'ascensione gnostica, ha vissuto l'esperienza ermetica ed è pertanto divenuto un essere divino imbevuto dalle Potestà” (F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p.  263).

L'esposizione della filosofia è combinata con la narrazione del viaggio per raggiungere il luogo della cena e del dibattito con i due 'pedanti', che si tiene la sera del primo mercoledì di quaresima, la sera delle ceneri.

Gli accompagnatori giungono a prendere Bruno in ritardo e partono per vie ormai buie. Dopo un tratto di strada principale svoltano verso il Tamigi per proseguire su una vecchia barca che li scaricherà, dopo un lungo giro non lontani dal luogo di partenza, in un vicolo fangoso circondato da alte mura. Il viaggio prosegue tra mille difficoltà...

«Il racconto dell'avventuroso viaggio è tutt'altro che chiaro; l'esposizione è interrotta quando Bruno espone la sua nuova filosofia, la sua ascensione ermetica, attraverso le sfere, fino alla visione liberata di un vasto cosmo, e la sua interpretazione dell'eliocentrismo copernicano, in tono ben diverso da quello di Copernico stesso, che essendo 'solo un matematico', non aveva compreso il significato della sua scoperta. Durante la cena Bruno discute con i due dottori 'pedanti' se il sole sia o non sia al centro; ci sono fraintendimenti reciproci; i 'pedanti' si fanno vendicativi e il filosofo è estremamente rude. Comunque l'ultima parola è al filosofo, che sostiene contro Aristotele e con Ermete Trismegisto, che la terra si muove perché è viva.

Bruno, in seguito, affermò davanti agli inquisitori che la cena si era tenuta in realtà, all'ambasciata di Francia. Il viaggio per le vie di Londra e sul Tamigi era quindi interamente immaginario? Io metterei le cose in questi termini. Il viaggio è qualcosa del genere di un sistema di memoria occultista, grazie al quale Bruno ricorda i temi della discussione avvenuta durante la 'cena'. 'All'ultimo dei luoghi romani puoi aggiungere il primo dei luoghi parigini', dice in uno dei suoi libri di memoria. Nella Cena delle ceneri egli adopera 'luoghi di Londra', lo Strand, Charing Cross, il Tamigi, l'ambasciata di Francia, una casa in Whitehall, per ricordare ricollegati ad essi, i temi di un dibattito sul Sole durante una cena: temi che hanno certamente un significato occulto, riferentesi, in qualche modo, al ritorno della religione magica, di cui è araldo il Sole copernicano» (F. Yates, L'arte della memoria, Einaudi, 1972, p.  288).

La Cena de le ceneri fornisce un esempio dello sviluppo di un'opera letteraria proprio dai procedimenti dell'arte della memoria.





4 Spaccio della bestia trionfante

Un conciglio degli dèi planetari, convocato da Giove, si riunisce per riformare le immagini celesti da cui consegue una riforma del mondo inferiore per gli stretti rapporti che intercorrono – nella concezione neoplatonica – tra mondo delle idee, stelle e mondo sensibile. La bestia trionfante e cioè il complesso dei vizi Copertina dello Spaccio della bestia trionfante(i cattivi influssi delle stelle) viene spacciato dal complesso delle virtù (i buoni influssi) in vista della «formazione di una personalità nella quale prevalgano gli influssi del Sole, di Giove e di Venere e vengano controllati gli influssi negativi delle stelle nella direzione di una religione o di un'etica integralmente “egiziana” o ermetica, nell'ambito della quale la riforma, e cioè la salvezza, è conseguita nell'ordine cosmologico» (F.

Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p.  245).
Pubblicato nel 1584 in Inghilterra, Lo spaccio della bestia trionfante è stato di grande efficacia, unitamente alla Cena delle ceneri, nella formazione del Rinascimento shakespeariano.

Lo spaccio è anche un esempio mirabile di letteratura di immaginazione. “I suoi dialoghi possono essere letti direttamente per la loro forte e strana trattazione di molti temi, per il loro curioso umorismo e la loro satira, per l'impianto drammatico del racconto di questo concilio di dei riformatori, per i loro numerosi tocchi di ironia lucianesca. E tuttavia si può cogliere agevolmente alla base del testo la struttura di un sistema di memoria bruniano” (F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, p. 294).

Nell'elenco delle costellazioni, dei vizi e delle virtù ad esse collegati che Bruno ripercorre per tre volte, è sempre mantenuto l'ordine attribuito ad esse nel sistema delle costellazioni. Evidentemente segue le costellazioni come sistema di organizzazione della memoria.






5 L'arte della memoria


5.1 Capacità fantastica e arte della memoria

Il valore attribuito da Bruno alla capacità fantastica, a quella capacità di attingere ad un mare inesauribile di immagini fa parte del più vasto sistema dell'arte della memoria.

La condanna al rogoBruno tratta in numerosi saggi l'arte della memoria, quell'arte nella quale eccelleva, che l'aveva reso famoso e che sarà indirettamente la causa della sua morte, perché ritornerà in Italia (a Venezia dove sarà arrestato e consegnato all'Inquisizione) proprio per insegnare al Mocenigo la sua mnemotecnica.


5.2 Le immagini celesti come luoghi della memoria

Il sistema di Bruno consisteva nell'usare come luoghi della memoria le immagini celesti, (le stelle e i pianeti) le quali in quanto appartenenti al mondo intermedio sono più vicine alle idee, sono ombre delle idee. Imprimere nella memoria le immagini degli agenti superiori (le stelle e i pianeti) vuol dire conoscere dall'alto le cose che si trovano al livello del mondo Copertina Opere mnemotecnichefisico, significa ricostruire nella mente umana, microcosmo in armonia con il macrocosmo, lo stesso ordine delle idee. L’immaginazione, la capacità della mente di costruire immagini che nel medioevo poteva essere utilizzata «nella memoria come una concessione alla debolezza dell'uomo, che ricorre a simboli corporei, perchè solo così può memorizzare le sue 'intenzioni' spirituali verso il mondo intelligibile... diventava il potere più alto dell'uomo, per mezzo del quale gli è possibile afferrare il mondo intellegibile, al di là delle apparenze» (F. Yates, L'arte della memoria, p.  213).

Usare le figure delle stelle come luoghi della memoria significava attingere a una fonte inesauribile di immagini, trascendenti l'esperienza sensibile.

L'arte della memoria diventa con Bruno arte magica perché attinge direttamente al mondo superiore, fonte di conoscenza.


5.3 La capacità fantastica come strumento di conoscenza

In altre parole se la personificazione di una virtù serviva durante il medioevo a costruire un’immagine per ricordarne le caratteristiche, il possedere l'arte della memoria di Bruno significa usare la capacità fantastica come strumento di conoscenza, significa, una volta ricostruita nella mente l'organizzazione delle immagini e la loro concatenazione nei vari livelli, trasformare la capacità fantastica in magico strumento di conoscenza, magico perché collegato al mondo delle idee stesse.

Il che è come dire che se durante il medioevo la capacità fantastica serviva per rendere concreta attraverso un’immagine corporea  ̶  ossia attraverso la personificazione  ̶  un concetto astratto, con Bruno diventa strumento stesso di conoscenza, in quanto capacità della mente di entrare magicamente in contatto con lo stesso mondo delle idee.


5.4 Bruno grande cosmologo visionario

Una prova della sua capacità fantastica e visionaria Bruno la fornisce, oltre che con l'ardita architettura della sua mnemotecnica, con l'attribuzione alla mente del potere di riflettere come in uno specchio l'infinito stesso e di poterlo cogliere con un solo colpo d'occhio in tutta la sua immensità.

Chi esercita la facoltà della mente trascende l'imperfezione dell'illimitato con «una semplice intuizione che senza niun discorso che la preceda o accompagni..., comprende tutte le cose, ed è simile a specchio vivo e piano, che è insieme luce, specchio e tutte le immagini, che ei veggon senza successione temporale o vicissitudinale, come se il capo fosse tutt'occhio o da per tutto la vista abbracciasse con un sol atto le cose superiori, inferiori, anteriori e posteriori» (Sta in P. Zellini, Breve storia dell'infinito, Adelphi, Milano, 1980, p. 108-109).


5.5 Totalmente infinito è Dio

L'unità dell'Universo infinito «non è affrancata dalla pluralità, cioè dalla materia; e la materia, come aveva già insegnato S. Tommaso, determina una contrazione della forma infinita nelle forme finite dell'esistenza. Il risultato è un certo 'difetto' intrinseco, una insopprimibile presenza, nell'Universo di una possibilità che non può estendersi oltre di sé» (ivi, p. 110).

Dice Bruno: «Io dico [...] l'universo tutto infinito, perché non ha margine, termine, né superficie, dico l'universo non essere totalmente infinito, perché ciascuna sua parte che di quello possiamo prendere, è finita, e de mondi innumerabili che contiene, ciascuno è finito. Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito, e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de l'Universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste sue parti... che noi possiamo comprendere in quello» (ivi, p. 110).







6 Il ballo dei becchi

Il personaggio di Giordano Bruno così come è stato interpretato da Montaldo nel suo film nell'episodio del ballo dei becchi,[1] si presta a un parallelo con il racconto di Amore e Psiche di Apuleio.

Nelle supreme stanze

L’ingresso di Psiche nell’universo di Eros avviene in un’atmosfera sospesa. Contrariamente all’aspettativa suscitata dall’esposizione sulla rupe, foriera di eventi drammatici, l’atmosfera delle «nozze di morte» si dissolve in uno sciame di elementi sottili, rarefatti, impercettibili: una «mite aura di Zefiro», lo «svolazzare delle vesti», un «placido soffio» che «gonfia i lembi» e la «solleva insensibilmente»...

Il palazzo, nel quale giunge Psiche, reitera la stessa impalpabile sensazione: «voci senza aspetto», «vino nettareo», «portentoso spirito», «sole voci», qualcuno «prese a cantare non visto», una «cetra, che nemmeno si vedeva», la «voce concorde di un coro»… L’intero processo che sospinge, accompagna accoglie e assiste Psiche nel palazzo incantato di Eros è affidato a fili impalpabili, evanescenti, eterei.

Che è poi la stessa sostanza di Eros: un «dolce suono» annuncia «l’invisibile marito», che viene nell’ombra, che svanisce al sopraggiungere della luce. Psiche lo può “sentire”, come sente le voci del palazzo, ma non “vedere”, come non vede i servitori…

Ciò che è dato conoscere di Eros passa attraverso percezioni sonore, passa attraverso le sensazioni di Psiche. Giordano Bruno, durante il suo fatale soggiorno veneziano, aveva portato Fosca, l’amante del Morosini, nelle supreme stanze dell’incantato palazzo di Eros con la sola magia delle parole. Bruno, si sa, era stato chiamato a Venezia per le sue arti magiche.

Fosca si turbò alle prime, si ritrasse, pensò ad arti demoniache, lo allontanò da sé. Poi…

Poi si peritò presso il potente amante perché togliesse il “mago” dalle grinfie della Santa Inquisizione.

Che l’eros femminile non sia destato dal senso della vista, questo ognuno lo sa, direbbe il don Ferrante manzoniano, tanto è evidente. Agli increduli basti considerare che il target di immagini erotiche e pornografiche è di sesso maschile. Se ne avvidero, anni fa, anche gli ideatori di una rivista americana per sole donne, allorché constatarono che il loro pubblico era costituito da omosessuali maschi. La vista è la via del maschio. E le donne lo sanno.

La seduzione attraverso la vista è un’arte femminile. Le donne lo sanno. Anche Fotide ne era consapevole:

snudata fino all’ultimo lacciuolo, i capelli sciolti lietamente alla goduria, superbamente rigenerata nell’aspetto di Venere risorgente dai marini flutti, e con una rosea manina ad adombrare un pochino per vezzo, più che per nascondere per pudore il depilato pube… (II, 17).

Pizzi, merletti e quant’altro indosso a un maschio sono grotteschi. Suscitano ilarità, se indossati per scherzo, come suscitano ilarità gli spogliarelli maschili se fatti per gioco; diversamente sono grotteschi, e certamente non infiammano la fantasia del pubblico femminile: solleticano una generica curiosità o compensano la voglia di trasgressione.

Non è per caso se Eros nella favola di Amore e Psiche resta ferito proprio dalla lucerna e non certo per caso Apuleio proprio in questo contesto lascia detto:

Hem audax et temeraria lucerna et amoris vile ministerium, ipsum ignis totius deum aduris, cum te scilicet amator aliquis, ut diutius cupitis etiam nocte potiretur, primus invenerit (V, 23).
Ahimè, audace e temeraria lucerna, mezzana d’amore a buon mercato! Bruciare proprio il dio di ogni fuoco quando te certamente un qualche dongiovanni, per possedere più alla grande le concupite anche di notte, per primo escogitò.

Quale sia l’oggetto del desiderio, anche questo ognuno lo sa. E se malauguratamente non lo sapesse, basta che dia un’occhiata agli evviva affidati ai graffiti murali. Se invece volesse scoprire l’oggetto del desiderio femminile sarebbe in difficoltà, vanamente cercherebbe inni osannanti l’oggetto del desiderio femminile, perché l’oggetto del desiderio femminile è fatto da un’infinità di lampeggiamenti puntiformi.

Mentre per il maschio l’oggetto del desiderio è inscritto in un triangolo ben definito, per il gentil sesso pullula in una miriade di punti rarefatti: un «placido soffio», una voce indefinita, una «mite aura», un vago fluttuare di sensazioni… Per l’altra metà del cielo a destare il “mostro” è una nebulosa. Un po’ di fantasia, suvvia, signori uomini… non sarete accusati di stregoneria!

È pur vero che ha ragione anche Ariosto (Orlando Furioso, I, 58) quando fa dire a Sacripante:

So ben ch’a donna non si può far cosa

che più soave e più piacevol sia,

ancor che se ne mostri disdegnosa,

e talor mesta e flebil se ne stia.

Per quale ragione la donna non dovrebbe avvertire il desiderio? Solo che il suo nutrimento è ben diverso dalla pastura del desiderio maschile. Per questo se ne sta spesso mesta e flebil.

Ed è il nutrimento dell’eros femminile che Apuleio con la favola di Amore e Psiche descrive. Apuleio descrive la via femminile dell’eros. Lo racconta con le immagini della sua poesia.

(A. Piacentini, Eros al femminile, pp. 204-206)

Note


[1] È un gioco scambista in casa Morosini alla fine del quale Bruno (con la sua fama di filosofo mago), e Fosca, l’amante del padrone di casa, si appartano.
Fosca: Ecco quali sono i segreti della nostra magia. Essere belle e desiderabili, far felice il proprio amante ed essere amica dei suoi amici, avere protezione e potere. Sì, essere amata, e amare. Avete visto quelle donne sui ponti, vendono il loro amore ai mercanti e ai marinai, e le loro tariffe sono fissate dal Senato. Essere ricchi e potenti, questa è la magia. Perle, oro, gioielli, la gente ti guarda e ti odia. Guarda la tua pelle bianca e sputa. Quando vado in San Marco e prego il Signore, mi rivolgo al potere più grande di tutti, al potere di Dio, perché io credo in Dio.
Bruno: I bambini si portano dentro una magia naturale che, a poco a poco, crescendo, sono costretti a distruggere. E allora cominciano a pregare, ‘a santissima Trinità, i Santi, ‘a Maronna... Una grande Madonna azzurra, con gli ori e gli incensi.
(I due sono vis-à-vis, lei nuda distesa sul letto).
Bruno: Dobbiamo imparare a respirare, per riscoprire che gli alberi, le pietre, gli animali, e tutta la macchina della Terra hanno un respiro interno, come noi. Hanno ossa, vene, carne, come noi.
E la invita a respirare al ritmo del suo respiro, che è il respiro dell’universo.
A poco a poco Fosca si sente presa dall’orgasmo prima ancora che Bruno l’abbia sfiorata…
E si spaventa, ritraendosi da lui credendolo dotato di poteri diabolici…






Voci correlate

Alchimia

Cabala

Ermetismo

Llull Ramon

Yates Frances


La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.

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