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Shakespeare

Shakespeare William (1564-1616) drammaturgo dell'età elisabettiana dalla straordinaria ricchezza di temi, dalla inesauribile capacità evocativa di atmosfere e sensibilità, «maestro dell'uso incantatore delle parole e della poesia come magia» (F. Yates, Cabbala e occultismo nell'età elisabettiana, p. 205).

Shakespeare


I. Calvino, Lezioni americane: Leggerezza

Penso che con queste indicazioni posso mettermi a sfogliare i libri della mia biblioteca in cerca d’esempi di leggerezza. In Shakespeare vado subito a cercare il punto in cui Mercuzio entra in scena: «You are a lover; borrow Cupid’s wings / and soar with them above a common bound» (Tu sei innamorato: fatti prestare le ali da Cupido / e levati più alto d’un salto). Mercuzio contraddice subito Romeo che ha appena detto - «Under love’s heavy burden do I sink» (io sprofondo sotto un peso d’amore). Il modo di Mercuzio di muoversi nel mondo è definito dai primi verbi che usa: to dance, to soar, to prickle (ballare, levarsi, pungere). La sembianza umana è una maschera, a visor. È appena entrato in scena e già sente il bisogno di spiegare la sua filosofia, non con un discorso teorico, ma raccontando un sogno: la Regina Mab.





 

Il Rinascimento shakespeariano conosce gli influssi eterei che connettono macrocosmo e microcosmo, dal firmamento neoplatonico agli spiriti dei metalli che si trasformano nel crogiolo degli alchimisti. Le mitologie classiche possono fornire il loro repertorio di ninfe e di driadi, ma le mitologie celtiche sono certo più ricche nella imagerie delle più sottili forze naturali coi loro elfi e le loro fate. Questo sfondo culturale (penso naturalmente agli affascinanti studi di Frances Yates sulla filosofia occulta del Rinascimento e sui suoi echi nella letteratura) spiega perché in Shakespeare si possa trovare l’esemplificazione più ricca del mio tema. E non sto pensando solo a Puck e a tutta la fantasmagoria del Dream, o a Ariel e a tutti coloro che «are such stuff / As dreams are made on,» (noi siamo della stessa sostanza di cui son fatti i sogni,) ma soprattutto a quella speciale modulazione lirica ed esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e dissolverlo in malinconia e ironia.
La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell’epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo, che è stata studiata in Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, così lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono.
Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l’accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, così definisce la melanconia (atto IV, scena I):

... but it is a melancholy of my own, compounded of many simples, extracted from many objects, and indeed the sundry contemplation of my travels, which by often rumination, wraps me in a most humorous sadness.

... è la mia peculiare malinconia composta da elementi diversi, quintessenza di varie sostanze, e più precisamente di tante differenti esperienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi ha sprofondato in una capricciosissima tristezza.

Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose.

Confesso che la tentazione di costruirmi uno Shakespeare seguace dell’atomismo lucreziano è per me molto forte, ma so che sarebbe arbitrario.





copertina e-book tra il cristallo e la fiamma


copertina della Consistenza

Tra il cristallo e la fiamma


Copertina Eros al femminile

 

1 Lo sviluppo artistico

Lo sviluppo artistico di Sakespeare ha conosciuto quattro fasi.

Nella prima si cimenta con vari generi drammatici: il dramma storico, la farsa, la tragedia senechiana, la commedia di carattere, la commedia cortese con i capolavori di Romeo e Giulietta e Sogno d'una notte d'estate.

La seconda (dal 1595), occupata dal dramma storico e da commedie, alcune delle quali lo resero famoso: Il mercante di Venezia, Come vi piace, La notte dell'Epifania.
«In queste commedie gli elementi popolari del teatro elisabettiano (connessione con la viva tradizione popolare delle feste stagionali) si combinano con gli elementi dotti, in opere d'un genere inimitabile ai confini tra la commedia erudita e la commedia dell'arte» (M. Praz, Tutte le opere, p. XVIII, Sansoni).

La terza è quella dell'Amleto, del Macbeth, di Re Lear, di Otello, di Antonio e Cleopatra, dove la tensione drammatica portata allo stremo e le tinte si fanno più fosche.

La quarta fase (dal 1608) ritorna al dramma romanzesco dai toni più distesi su uno sfondo di serenità fiduciosa (La tempesta, Cimbellino).






2 Shakespeare e magia

Secondo gli studi di Frances A. Yates l'adesione di Shakespeare alla filosofia occulta del rinascimento elisabettiano avrebbe lasciato tracce significative nelle sue opere sia per i contenuti che per le scenografie.

In Cabbala e occultismo nell'età elisabettiana, a proposito di alcuni capolavori shakespeariani, la Yates suggerisce una modalità d'approccio particolarmente suggestiva, propositiva di una rilettura pulsante in cui la forza ammaliatrice del drammaturgo è libera di palpitare.

Nel Mercante di Venezia ravvisa la filosofia musicale dell'Armonia Mundi, di Giorgi, in Re Lear la parabola di Jonn Dee, nella Tempesta la pratica della magia bianca, nell’Amleto, in Come vi piace e nelle Pene d'amor perdute la melanconia ispirata, e nelle apparizioni di fate nelle Allegre comari di Windsor e nel Sogno d'una notte di mezza estate l'immaginario spenseriano con il culto della Vergine Imperiale.






3 L'imagerie grottesca in Shakespeare

Il principio materiale e corporeo della piazza carnevalesca è ancora vivo e vitale in Shakespeare, come in altri autori rinascimentali, anche se il processo di progressivo alleggerimento dell'imagerie grottesca e la sua evoluzione verso l'humour comincia ad assumere proporzioni preponderanti.

Ma in tanta parte dell'opera shakespeariana pulsa ancora con immediatezza.

Negli «allegri becchini» dell'Amleto, nelle «scene falstaffiane» nel «portinaio allegro e sbronzo» del Macbeth, nella balia di Giulietta e in genere nelle scene comiche e buffonesche inserite nell'atmosfera tragica, è facilmente riconoscibile la rielaborazione del «diretto vicinato della morte col riso, il mangiare, il bere, le licenze sessuali», ma anche l'immunità concessa dalla piazza carnevalesca al buffone, allo strambo o al pazzo, vero o finto, come Amleto (Vedi M. Bachtin, Estetica e romanzo, p. 346).






 4 Amleto

L'intreccio

Amleto, tormentato dal dubbio se il fantasma del padre che chiede vendetta sia una visione diabolica, si finge matto e messi alla prova madre e zio ora sposi, che il fantasma indica come assassini, si rassicura e vendica il padre.

Amleto nella lettura di Yates

La melanconia di Amleto è la melamconia ispirata

"Nel mondo dell'Amleto l'atmosfera ha una forte intensità. Nella tenebra della sua notte Amleto combattuto da melanconici problemi. La sua è l'ispirata melanconia, che dona l'intuizione profetica rispetto ad una situazione infelice e gli dice come deve comportarsi rettamente e profeticamente in tale situazione? O si tratta di un sintomo di debolezza simile alla melanconia delle streghe, che lo rende prono alla possessione diabolica e all'inganno di spiriti maligni? Questi sono gli interrogativi posti nell'Amleto ed erano i problemi che infuriavano a quel tempo. [...]

Amleto mette alla prova la storia narrata dallo spettro con l'opera teatrale, e l'effetto della rappresentazione sulla madre e sullo zio gli dimostra che lo spettro gli aveva effettivamente dato un'autentica intuizione ispirata di una spaventosa situazione morale.

Come Jaques il melanconico che deve "purgare il corpo impuro di questo mondo purulento", o come l'Ercole di Chapman che deve "ripulire la lurida stalla del mondo", Amleto considera la situazione con cui ha a che fare un "sudicio porcile".

Si dimostra che l'umore nero di Amleto non è il nero dell'Inferno o di una scuola di streghe della notte, ma è la melanconia di un profeta in un mondo così rovinosamente disobbediente alla Legge che l'armonia universale non è percepibile, o rotta, come se soavi campane fossero suonate in modo stonato e discordante» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 195-196).

Amleto nella lettura di Santillana

L'antica origine di Amleto

Le figure dello zio usurpatore e del nipote che si vendica fingendosi pazzo, motivo centrale del dramma shakespeariano, vengono rintracciate da Santillana-Dechend ben oltre i confini delle fonti classiche comunemente accettate.

Muovendo dalle fonti immediate del dramma shakespeariano, le saghe nordiche di Saxo Grammaticus, poste a confronto con il vasto repertorio antropologico e letterario del Mulino di Amleto, Santillana-Dechend dimostrano l'universalità e la remota origine della figura dell'apparente incapace, dietro il quale si cela «l'ambivalente potenza dispensatrice del bene e del male».

«Amleto non deve essere visto come un eroico disadattato, ma come un distributore di giustizia. Shakespeare coglie esattamente nel segno: evita di recuperare l'elemento brutale ed eroico necessario alla saga e fa di tutto il dramma un dramma della mente. Alla luce di una chiarezza superiore, chi può sfuggire alla frusta?»






5 As You Like It (Come vi piace)

Usurpazioni e travestimenti occasione di scene pastorali, sfondo per espressioni di stati d'animo specie melanconico.

«Jaques il melanconico di Come vi piace [...] richiama la classica teoria di Agrippa sulla melanconia. [...] Egli rappresenta la melanconia ispirata nella versione moraleggiante; dal luogo in cui si è appartato "all'ombra di melanconiche rame", nella foresta di Arden, osserva scene di vita dell'uomo dalla cura alla tomba, descritte nel suo famoso discorso. L'intuito di Jaques, il suo far la morale ai tempi, è prossimo alla follia; l'ha imparato da Pietra di paragone, il buffone, e reclama la libertà del pazzo di dire quello che pensa. È il melanconico che si ispira per dire la verità [...] non è altro che un preliminare per l'apparizione del più famoso melanconico di tutti i tempi: Amleto, principe di Danimarca» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 193-194).






6 Il mercante di Venezia (The merchant of Venice)

L'ebreo Shylock pretende in giudizio il rispetto di una obbligazione che gli legava il ricco mercante Antonio consistente in una libbra di carne del suo corpo. Tra travestimenti e colpi di scena la soluzione dell'inghippo.

«È dunque chiaro che Il mercante di Venezia non in alcun modo un'opera antisemita sull'esempio dell'Ebreo di Malta di Marlowe. È, al contrario, una sorta di risposta a Marlowe. Shylock e Barabba si collocano ai poli opposti della raffigurazione dell'ebreo. Gli spettatori del Mercante di Venezia udivano l'armonia universale echeggiata dall'opera del frate cabbalista di Venezia, mentre quelli dell'Ebreo di Malta erano portati a tramutarsi in folle antisemite. Le due opere sono quanto mai dissimili, se si eccettua il fatto che hanno entrambe un ebreo e sua figlia come personaggi centrali, cosa spiegabile nell'ipotesi che Shakespeare replichi direttamente a Marlowe.

«L'opera di Shakespeare, con l'evocazione di Venezia, degli ebrei e dei cristiani di quella città e di un matrimonio fra loro, effonde un'atmosfera molto diversa dall'appello rivolto da Marlowe a folle antisemite; ci fa ritornare in mente la filosofia musicale del frate cabbalista di Venezia e potrebbe accordarsi con la magia di Spenser, cosa impossibile per il dramma di Marlowe. La magia spenseriana si andava poi riaffermando negli anni in cui fu scritta l'opera di Shakespeare: nel 1596 Spenser pubblicò i Foure Hymnes, caratterizzati dall'esaltazione del misticismo neoplatonico, da sfumature cabbalistiche, e dalla figura centrale di Elisabetta vista come Venere dalla beltà celeste.

Dal Mercante di Venezia sembrerebbe che Shakespeare, analogamente a Spenser, trovasse congeniale la filosofia cabbalistico-cristiana del frate di Venezia» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 168-169).





 

7 Pene d'amor perdute

Il re di Francia e tre dei suoi signori, si innamorano a prima vista della principessa di Navarra e di tre dame del seguito giunte per una ambasceria. Per non infrangere il giuramento di non veder più donne sfogano la loro passione declamando nascostamente nel parco versi d'amore, finché non si smascherano a vicenda e decidono di dichiararsi. La commedia continua tra travestimenti e colpi di scena.

Alcuni autori, tra cui la Yates, ritengono di ravvisare nel personaggio di Biron l'eco del soggiorno di Giordano Bruno in Inghilterra.

«Ora a me sembra assolutamente chiaro che il grande discorso di Biron sull'amore sia un'eco dello Spaccio della bestia trionfante, dove tutti gli dei parlano in lode dell'amore in una delle costellazioni. Inoltre, il fatto che l'ambiente della commedia sia una corte francese - quella del re di Navarra - in cui Biron guida la schiera dei poeti e degli amanti, appare a questo punto assai significativo in quanto pone in rapporto Biron-Bruno con un messaggio proveniente dalla corte francese e con la generale atmosfera europea di fiduciosa aspettativa verso il Navarra. Nella commedia la controparte dei poeti e degli amanti sono i due pedanti, un soldato spagnolo (Don Armando) e un "grammatico" (Oloferne). Anche in questo caso si trova un riscontro nello Spaccio, con i suoi due tipi di pedanteria, la truculenza e l'ambizione della Spagna cattolica da una parte e i protestanti "grammatici" dall'altra. Ogni minimo dettaglio convalida questa interpretazione, ma occorrerebbe fare una discussione troppo minuziosa. Basti ricordare che alla fine della commedia Biron entra in un ospedale per occuparsi dei malati. Gli ospedali erano fra le "opere" dei predecessori la cui soppressione da parte dei deiscendenti venne deplorata da Bruno» (F. Yates, Giordano Bruno e la tradiziome ermetica, p. 386).






8 Re Lear

Nel Re Lear «il tema dell'ingratitudine è elevato a proporzioni cosmiche. Il monarca britannico ha ceduto il suo impero a gente perfida e ingrata, che a lui deve ogni cosa, eppure lo caccia via in una tempesta spaventosa, sprovvisto di tutto e senza amici, salvo un Matto e una persona che sembra essere un pazzo fuggiasco, posseduto dai diavoli.

«La figura di Tom o'Bedlam che gesticola accanto a Lear sulla landa battuta dalla bufera fu un'aggiunta di Shakespeare alla storia, che introduceva il tema della demonologia nello scenario melanconico. La cosa straordinaria di questi demoni nella notte di Lear è che sono delle finzioni: Tom o'Bedlam è in realtà Edgardo travestito che simula deliberatamente la possessione demoniaca.

«Non è mai stato risolto in modo soddisfacente il problema del perchè scelse di dare per compagno a Lear nel suo stato di privazione un uomo che fingeva di essere posseduto dai diavoli. [...]

«I nomi dei diavoli [...] sarebbero stati probabilmente riconosciuti dal pubblico della prima rappresentazione di Shakespeare come riferiti a un caso di simulazione della possessione demoniaca e dell'esorcismo. Shakespeare cioè, tramite l'espediente di Edgardo che impersona Tom o'Bedlam, introduce un'allusione alla demonologia e al terrore per le streghe, non al fine di suscitare panico negli spettatori alla maniera di Marlowe, ma per sollevare nella loro mente il problema della possibilità che simili terrori fossero suscitati ad arte, o manipolati contro una vittima per ragioni politiche o politico-religiose. [...]

«A chi si riferiva Shakespeare con questa figura di antico monarca britannico, trattato con indegna gratitudine e perseguitato dalla falsa accusa di essere posseduto dal demonio? Era vivo un superstite dei bei tempi del sogno spenseriano, al quale questa descrizione si adattava quasi perfettamente: Jonn Dee.

«L'artefice dell'idea di Impero britannico era stato Jonn Dee, nel suo primo periodo, quando fu al centro dell'età elisabettiana ed una delle fonti di ispirazione del poema di Spenser. [...]

«Nel suo terzo periodo, durante il quale Shakespeare scrisse il Lear, Dee era bandito dalla corte e dalla società, pativa l'abbandono totale e l'amara povertà, e avrebbe ben potuto sentirsi vittima di una vile ingratitudine. [...] Fu inoltre perseguitato dai terrori contro di lui come mago nero e stregone, sebbene non accettò mai quest'accusa proclamandosi cristiano, com'era senza dubbio, un cabbalista cristiano.

«La tragedia di Lear, nella sua più profonda dimensione storica e spirituale, può essere la tragedia dell'idea di impero dell'età elisabettiana, cantata da Spenser che ne fu il poeta epico, alimentata dall'opera di Dee, ma ora infranta e dispersa in questa cupa ora di delusione e disperazione» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 199-200).






9 Romeo e Giulietta

La vicenda amorosa di due giovani appartenenti a famiglie rivali della Verona comunale che si conclude con la tragica fine dei due amanti.

Romeo, travestito, conosce durante una festa in casa Capuleti la giovanissima Giulietta; alla fine della festa in una atmosfera di incanto notturno i due giovani si dichiarano. L'indomani con l'aiuto di Fra' Lorenzo si sposano segretamente. Qualche ora dopo Mercuzio, il miglior amico di Romeo, viene ucciso da Tebaldo cugino di Giulietta. Romeo per aver vendicato l'amico è bandito dalla città. Il padre di Giulietta, ignaro del matrimonio segreto della figlia con un nemico della sua famiglia, vuole far sposare Giulietta al conte Paride. Giulietta per sottrarsi al matrimonio accetta di bere la pozione della morte apparente approntata da fra' Lorenzo. La notizia della morte di Giulietta arriva a Mantova dov'era bandito Romeo prima del messaggio di fra' Lorenzo. Romeo, ritornato nottetempo si uccide con un veleno sulla tomba dell'amata poco prima del risveglio di lei che a sua volta si trafigge sul corpo di Romeo.

L'amore subitaneo tra Romeo e Giulietta dichiarato in una atmosfera d'incanto notturno, dispiegato dal naturalismo della balia di Giulietta e protetto dall'arte magica di Fra' Lorenzo si sviluppa su uno sfondo magico in cui il rinascimento shakespeariano raggiunge toni di vibrante intensità emotiva, a cui la breve apparizione di Mercuzio fa da cornice.






 10 Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer-Night's Dream)

Una serie di intrecci (Oberon, re degli Elfi che bisticcia con Titania, regina delle Fate. il contrastato amore di Ermia, l'amore di Elena per Demetrio, le nozze di Teseo e Ippolita) sono occasione per i capricci , simili a quelli di Cupido, di Puck, di sbizzarrirsi in una incantevole cornice in cui mitologia classica e nordica creano un clima di sospesa suggestione.

«Queste fate elisabettiane non sono, a mio giudizio, manifestazione di una tradizione folclorica o popolare; le loro origini sono letterarie e religiose, risiedono nella leggenda arturiana e nella magia bianca della Kabbalah cristiana. L'uso delle immagini di fate nel culto della regina ebbe inizio nei tornei per il giorno dell'assunzione al trono, e rievoca lo scenario cavalleresco delle giostre. Nella forma in cui viene ripresa da Spenser nelle Faerie Queene, la rappresentazione delle fate era arturiana e cavalleresca, ed anche espressione di pura magia bianca, di una magia cabbalistica e cristiana.

«Le fate shakespeariane emanano da una simile atmosfera; glorificano una pura cavalleria al servizio della regina e della sua riforma imperiale. Leggere le scene di fate in Shakespeare senza correlarle alla contemporanea edificazione, nella figura della Regina Vergine, dell'emblema della religione pura significa perderne l'intento di affermare l'adesione al punto di vista spenseriano: un proposito molto serio sotto la finzione fantastica.

«L'espressione suprema del mondo fatato shakespeariano è il Sogno d'una notte di mezza estate. [...] *Si veda Puck, il re degli elfi* «Questo dramma magico sugli amanti incantati è ambientato in un mondo notturno e rischiarato dalla luna, dove le fate sono al servizio di un re e di una regina fatati. Nel magico intreccio è intessuto un significativo ritratto della regina Elisabetta I [...] come una Vergine Vestale, una casta Luna che sconfigge gli assalti di cupido, un’‘augusta vestale’ [felice sintesi] del culto di Elisabetta quale emblema della riforma imperiale» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 188-189 passim).






11 La tempesta (The Tempest)

Prospero, duca di Milano, spodestato e bandito dal fratello si salva in un'isola dove libera vari spiriti, tra cui Ariel, tenuti prigionieri da una strega, ponendoli al suo servizio. Con il loro aiuto riuscirà a far ravvedere il fratello, naufragato sull'isola a seguito di una tempesta sollevata da Ariel.

L'«energica linea di pensiero e di guida manifestata dal giovane principe Enrico, ardentemente antispagnolo e deciso a far rivivere la prospettiva elisabettiana cui era avverso suo padre» aveva permesso l'emergere di un'atmosfera più lieta negli ultimi drammi di Shakespeare.

Fu «all'interno della "ripresa nell'età di Giacomo I" che La tempesta ... presentò in Prospero, mago ed evocatore di spiriti, l'ultima parola di Shakespeare sulla filosofia occulta. [...]

«Gli spettatori contemporanei dovevano sicuramente aver colto l'orientamento che stava alla base di quest'opera come un ritorno al mondo magico della compianta Regina Vergine, Elisabetta Ialla sua castità e alla sua pura religione, ora continuate e fatte rivivere dalla generazione più giovane. Il suo filosofo, il mago bianco dottor Dee, è difeso in Prospero, il mago buono e dotto, che era riuscito a trasportare nell'isola la sua preziosa biblioteca. [...]

«Prospero, il mago benefico, usa la scienza magica buona per fini utopici: rappresenta l'acme della lunga lotta spirituale in cui erano impegnati Shakespeare e i suoi contemporanei; rivendica la scienza e la magia di Dee, dissipa le inquietudini dell'ossessione per la stregoneria e stabilisce la legittimità della Kabbalah bianca» (F. Yates, Cabala e occultismo, pp. 201-203 passim e adattamento).






12 Elfi in Shakespeare

Puck

Creatura mitologica soprannaturale.

1. Nel Sogno di una notte di mezza estate

Nel Sogno di una notte di mezza estate, Puck è il servitore del re degli elfi, dalla capricciosità simile a quella di Cupido
Robin Goodfellow, the Puck è il servitore di Oberon, re degli elfi.

Letteralmente significa Bertino Buontempone o Roberto Bravapersona, dove quel 'bravo' ha la stessa veridicità di 'persona'.

Appare come un elfo buffone che si prende gioco degli uomini con il tirar scherzi burloni:

Atto II sc. I


I am that merry wanderer of the night,
I jest to Oberon, and make him smile
When I a fat and bean-fed horse beguile,
Neighing in likeness of a filly foal;
And sometime lurk I in a gossip's bowl,
In very likeness of a roasted crab,
And on her withered dewlap pour the ale.
The wisest aunt, telling the saddest tale,
Sometime for three-foot stool mistaketh me:
Then slip I from her bum, down topples she,
And 'tailor' cries, and falls into a cough:
And then the whole choir hold their hips and laugh,
And waxen in their mirth, and neeze, and swear
A merrier hour was never wasted there.
But room, faëry: here comes Oberon.

Ma è anche capace di diventare uno schermo attraverso il quale le debolezze umane, specie quelle d'amore, possono essere punzecchiate e posta in evidenza la capricciosità di amore.

Then fate o'er-rules, that, one man holding troth,
A million fail, confounding oath on oath. (III, II, 92-93)
Shall we their found pageant see?
Lord, what fools these mortals be! (III, II, 113-114)

2. Nella mitologia nordica

Spirito folletto della mitologia celtica, coboldo, ossia spirito della casa, che abita presso il focolare.


3. Nella letteratura

È diventato personaggio letterario in Spenser, Drayton, Kipling, ma la sua notorietà la deve a Shakespeare che lo fa apparire nel Sogno di una notte di mezza estate.

Ariel

Spirito dell'aria protagonista della Tempesta






13 La Regina Mab

È appena entrato in scena [Mercuzio] e già sente il bisogno di spiegare la sua filosofia, non con un discorso teorico, ma raccontando un sogno: la Regina Mab.

Queen Mab, the fairies’ midwife, appare su una carrozza fatta con «an empty hazel-nut» (La Regina Mab, levatrice delle fate [appare su una carrozza fatta con] «un guscio di nocciola»);

Her waggon-spokes made of long spinners’ legs;
The cover, of the wings of grasshoppers;
The traces, of the smallest spider’s web;
The collars, of the moonshine’s watery beams;
Her whip, of cricket’s bone; the lash, of film;

Lunghe zampe di ragno sono i raggi delle sue ruote, d’elitre di cavalletta è il mantice; di ragnatela della più sottile i finimenti; roridi raggi di luna i pettorali; manico della frusta un osso di grillo; sferza, un filo senza fine e non dimentichiamo che questa carrozza è «drawn with a team of little atomies» (scarrozzata da un equipaggio d’atomi impalpabili): un dettaglio decisivo, mi sembra, che permette al sogno della Regina Mab di fondere atomismo lucreziano, neoplatonismo rinascimentale e celtic-lore.

(I. Calvino, Lezioni americane, Garzanti 1988, pp. 19-20)





Voci correlate

Atomismo lucreziano

Melanconia

Neoplatonismo rinascimentale

Rabelais Francois

Santillana Giorgio, de

Saturno e la melanconia

Yates Frances

 

La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.

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