Home    Home   Le Lezioni americane → Prigogine, La nuova alleanza


Ilya Prigogine

Ilya Prigogine (1917-2003) chimico belga di origine russa.

Prigogine, La nuova alleanza





copertina e-book tra il cristallo e la fiamma


copertina della Consistenza

Tra il cristallo e la fiamma


Copertina Eros al femminile

 

1 Prigogine


Premio Nobel per la chimica nel 1977 per il valore delle sue ricerche nell'ambito dei processi irreversibili e della termodinamica di non equilibrio, Prigogine è autore oltre che di opere specialistiche (fondamentale per la comprensione del suo pensiero è Self-Organization in Non-Equilibrium Systems, 1977) di opere orientate dall'audace tentativo di applicare le proprie idee sui processi di auto-organizzazione spontanea ai sistemi sociali e alla storia. (Dall'essere al divenire, 1978; La nuova alleanza, 1979; La nascita del tempo,1984-87).






2 La nuova alleanza, Metamorfosi della scienza

Copertina della Nuova alleanza

È il libro in cui Prigogine insieme a Isabelle Stengers, una sua collaboratrice, (I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, Metamorfosi della scienza, Einaudi, 1981) formula l'audace proposito di portare le proprie convinzioni, in particolare il ruolo fondamentale dell'irreversibilità nei processi di autorganizzazione spontanea, oltre lo stretto ambito chimico-fisico.

Sull'ipotesi di fondo che la comparsa di organismi viventi non sia affatto un avvenimento accidentale e isolato, ma, se pur legato al caso, implicito ai processi irreversibili dei sistemi lontani dall'equilibrio, Prigogine e Stengers lasciano intravedere una relazione tra i processi di autorganizzazione spontanea e la stessa vita umana, che implicano una revisione dei concetti di scienza e di universo veicolati dalla rivoluzione copernicana, ma che mettono anche in gioco le nozioni di struttura, di funzione, di sistema sociale, di storia.






3 Il caso e la necessità

Copertina de Il caso e la necessità

La nuova alleanza nasce con un legame ideale, marcato sin dal titolo, con un libro di un altro scienziato, Jacques Monod che in Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea (1970) afferma che l'angoscia dell'uomo moderno deriva dalla separazione tra mondo dei valori e mondo della conoscenza introdotto dalla rivoluzione scientifica infrangendo l'«antica alleanza» tra l'uomo e una natura animistica governata dal finalismo. «L'antica alleanza è infranta; l'uomo finalmente sa di essere solo nell'immensità indifferente dell'universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre».

Prigogine e Stengers riconoscono il rigore e la coerenza delle disincantate conseguenze filosofiche tratte da Monod da una scienza come quella classica tesa a determinare le leggi universali di un universo-orologio, regolato da un meccanismo semplice e reversibile, quanto cieco e scandito dal caso e dalla necessità fisica e biologica, indifferenti ad ogni finalità e ad ogni condizione.

Ma ritengono pure che le prospettive aperte dall’odierna scienza pongano le condizioni di una «nuova alleanza».

La termodinamica, quella scienza scientificamente rigorosa, ma estranea al meccanicismo finora annunciatrice dell'ineluttabile morte dell'universo per equilibrio termico, attraverso la scoperta dei processi di organizzazione spontanea e delle strutture dissipative è in grado di spiegare «come le organizzazioni più complesse, cioè le forme del mondo vivente, non sono un accidente della natura, ma si situano sulla sua via maestra, sul tracciato del suo sviluppo più logico» (I. Calvino, Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, “La nuova alleanza”, Saggi, p. 2039).

L'antica alleanza animistica del mondo finalizzato è morta, ma è morta anche la moderna alleanza, l'alleanza del mondo-orologio sul quale lo scienziato moderno si sentiva investito ad esercitare la sua giurisdizione.

«È ormai tempo per nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, della loro società, dei loro saperi e l'avventura esploratrice della natura». E prima di tutto occorre riannodare le due culture separate dalla scienza moderna, «far vedere che le scienze matematiche della natura, nel momento in cui scoprono i problemi della complessità e del divenire, diventano anche capaci di capire qualcosa del significato di alcune questioni espresse dai miti, dalle religioni e dalle filosofie» (I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 35) in modo che il sapere scientifico diventi «ascolto poetico della natura e contemporaneamente processo naturale nella natura, processo aperto di produzione e d'invenzione, in un mondo aperto, produttivo e inventivo».






 4 La parabola della scienza moderna

La nuova alleanza ripercorre la storia della scienza moderna sottolineando la portata dell'impiego «dei processi di verifica e di discussione critica» che impediscono di mettere in bocca alla natura «le parole che si vorrebbe ascoltare» (p. 44), ma anche evidenziando i limiti impliciti nel contesto culturale che l'ha prodotta e che ne ha determinato l'orientamento. La rivoluzione della fisica moderna cancella sì l'antica alleanza animistica, ma ne stabilisce una nuova fra «l'uomo, inteso come cerniera fra l'ordine divino e l'ordine naturale, e Dio, il legislatore razionale e intelligibile, l'architetto sovrano che abbiamo concepito a nostra immagine e somiglianza» (p. 52). Questa impostazione, oltre a porre le premesse di uno iato irriducibile tra il mondo dei valori e il mondo dei fenomeni, porta ad escludere tutto quanto nella natura non sia riconducibile agli stessi principi di ordine e di razionalità delle leggi eterne del moto, che una scienza altrettanto rigorosa, ma estranea alla fisica classica, la scienza del calore, incominciava prepotentemente a mettere in evidenza, proprio nel momento del trionfo del demone di Laplace.

Nemmeno la revisione critica di Kant, il riordinatore «del paesaggio intellettuale che la scomparsa di Dio, creatore razionale e garante delle scienze della natura, aveva lasciato in pieno caos» (p. 88) riesce a superare gli schemi della nuova alleanza perché il trasferimento della custodia dell'ordine della natura da dio all'io trascendentale (alla ragione) solo apparentemente risolve la questione. Per di più riservando alla filosofia trascendentale «il campo delle questioni che concernono il "destino dell'uomo"», Kant riduce la scienza al mero compito «di decifrare la monotona lingua dei fenomeni» sancendo perentoriamente la spaccatura tra le due culture.

Fu così che benché l'impatto tecnologico delle rosseggianti caldaie «dove il carbone brucia senza ritorno» (I. Calvino, Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, cit., p. 2042) fosse di per sé eloquente, l'attenzione della termodinamica restò concentrata per tutto l'Ottocento sul rassicurante principio di conservazione dell'energia, anche se Clausius nel 1865 aveva tratto le conseguenze dell'irreversibilità sul piano cosmologico con gli esiti finali di un universo spento dall'equilibrio termico.

La stessa teoria della relatività che pur scardina le leggi immutabili ed eterne del mondo-orologio fissate da Newton, non destabilizza il mito fondato sulla scoperta della «robotica stupidità» (I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 45) di un mondo «sottomesso a una razionalità che gli è esterna» (p. 46). Il Dio di Einstein come il demone di Laplace e quello di Maxwell non è un arcaismo, ma crede nella «possibilità di una conoscenza completa del mondo» (p. 55) crede nel mito di una chiave onnisciente.

La seconda parte del libro in un continuo passaggio «talora nella stessa frase» (I. Calvino, Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, cit., p. 2043) dalla riflessione filosofica, alla formula e alla dimostrazione tecnica centrata sulle strutture dissipative, imposta lo statuto di una nuova scienza che consenta la saldatura tra il «miraggio» di leggi universali e la complessità della scienza del fuoco, tra l'universo della dinamica e l'universo della termodinamica.






5 Le strutture dissipative

Le strutture dissipative costituiscono la specialità di Prigogine e il fulcro della Nuova alleanza.

In sistemi lontani dall'equilibrio, «l'ordine inerte del cristallo» ritenuto «il solo ordine fisico predicibile e riproducibile» dalla termodinamica d'equilibrio, lascia il posto a processi auto-organizzativi che associano ordine e disordine, strutture da una parte, perdite e sprechi dall'altra, donde il nome di strutture dissipative per sottolineare una associazione tra ordine e disordine «a prima vista veramente paradossale». (Anche Hofstadter del resto s'imbatte spesso in paradossi).

La conduzione del calore, fonte di sprechi e di dissipazione dell'energia è all'origine di nuovi stati della materia» (I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, cit., p. 148). Lo stato di disordine, espresso dall'entropia, diventa fonte di ordine.

L'instabilità detta «di Bénard» (vedi il video) può dare un'idea di come «l'instabilità di uno stato stazionario dia luogo a un fenomeno di auto-organizzazione spontanea» (p.146). La superficie inferiore di uno strato orizzontale liquido «è portata fino a una data temperatura, più elevata di quella della superficie superiore. L'asimmetria di queste condizioni al limite determina un flusso di calore permanente dal basso verso l'alto. Quando il gradiente imposto oltrepassa un valore-soglia, lo stato di riposo del fluido, vale a dire lo stato stazionario in cui il calore viene trasmesso per diffusione senza effetti di convezione, diventa instabile. Si verifica allora un fenomeno di convezione, di moto coerente delle molecole del liquido, che accelera la trasmissione del calore. [...] Il moto di convezione che si instaura consiste in una complessa organizzazione spaziale del sistema. Milioni di milioni di molecole si muovono coerentemente, formando cellule di convezione esagonale di taglia caratteristica» (pp. 146-147).

Qualcosa del genere succede anche nelle strutture dissipative, ma mentre nella cellula di Bénard l'instabilità ha una semplice origine meccanica (la parte riscaldata più leggera tende a salire) e il comportamento del flusso è prevedibile, non così è nei sistemi chimici, perché se «la condizione di essere lontani dall'equilibrio è necessaria» non è però sufficiente. «Il destino delle fluttuazioni che perturbano un sistema chimico, come il regime delle nuove situazioni verso cui può evolvere, dipende dal meccanismo dettagliato delle reazioni chimiche. Contrariamente alle situazioni vicine all'equilibrio, il comportamento di un sistema lontano dall'equilibrio diventa altamente specifico. Non ci sono più leggi universalmente valide da cui potrebbe essere dedotto, per ogni valore delle condizioni al limite, il comportamento generale del sistema. Ogni sistema è un caso a sé, ogni insieme di reazioni chimiche deve essere esplorato e può produrre un comportamento qualitativamente differente» (p. 150).

Il ruolo dell'imponderabile e punti di contatto con «alcuni risultati fondamentali della moderna biologia molecolare» rendono le strutture dissipative una fonte assai interessante per una spiegazione della vita non come epifenomeno piovuto dal cielo o dovuto esclusivamente al caso, ma che scaturisce dalle stesse leggi della natura e della materia, pur senza escludere il caso.

E il partito della fiamma può trarne di che alimentare le sue convinzioni.

Del resto lo stesso Prigogine (I. Prigogine, La nascita del tempo, Theoria, Roma-Napoli 1988, p. 28) non nasconde che fu il libro di Schrödinger a fargli intuire nel 1945 che la sorgente dell'organizzazione biologica poteva essere nei fenomeni irreversibili.






6 Prigogine e Hofstadter nel mondo delle Lezioni

Prigogine e Hofstadter spiegano l'uno l'origine della vita in termini endogeni (senza l'intervento del dio-orologiaio), l'altro il funzionamento del cervello senza l'anima esterna ossia con lo stesso procedimento con cui nasce la vita secondo Prigogine.

Hofstadter fa capolino nelle Lezioni, mentre Prigogine no.

Leggiamo una pagina di Tra il cristallo e la fiamma:

La nuova alleanza di Ilya Prigogine e Isabelle Stengers e Gödel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter, due fonti rilevanti delle Lezioni, sono dello stesso anno (1979). Il primo libro nelle Lezioni non è affatto menzionato, il secondo sì. Al primo Calvino dedica nel 1980 una recensione (I. Calvino, No, non saremo soli, «la Repubblica», 3 maggio 1980 ) nella quale dimostra apprezzamento ed adesione al pensiero dei due studiosi, del secondo, che verosimilmente conosceva nel testo originale, parla brevemente nel 1984 in coda alla recensione di un saggio dedicato ad Almansi (I. Calvino,  Nel paese dell'Ironia, «la Repubblica», 28 novembre 1984), annunciandone la traduzione in italiano, «meritoria impresa dell’Adelphi». Possiamo ritenere, dunque, le due letture coeve, eppure l’una figura nelle Lezioni e l’altra no. Histoire de notre image, il libro di André Virel è del 1965 e, dice Calvino, di averlo letto quando studiava la simbologia dei tarocchi in vista del Castello dei destini incrociati che appare nel 1973. Non è una lettura tra le più fresche, eppure il suo nome campeggia nelle Lezioni e nelle Lezioni soltanto (a parte un accenno dissimulato).

Il criterio temporale da solo non è esaustivo, né le assenze, mancando il carnet della Consistency, sono in ogni caso assolute, né sono sempre incondizionatamente tout court. Prigogine come dicevamo cura il substrato scientifico della Molteplicità senza mostrarsi. E Stendhal s’accontenta di un fugace passaggio su un fotogramma subliminale.

Le Lezioni non sono unigenite. Si collocano nell’estrema propaggine della produzione calviniana e per loro natura, lo è stato ampiamente riconosciuto, in posizione sopraelevata diventando una sorta di resumé autobiografico.

Dalle Lezioni, dall’osservatorio privilegiato delle Lezioni Calvino riordina la sua attività come se fosse un solo organismo e dà una sistemazione alla sua biblioteca ideale. Per questo nell’Introduzione suggerivamo una loro lettura come opera unica: per uniformarci al punto di vista di Calvino che si volta indietro a osservare il suo sistema. E laddove trova dei buchi, delle fonti in precedenza non sufficientemente evidenziate, interviene con maggiore insistenza.

Certo il criterio della funzionalità al ragionamento fa da giuria, ma i memos isolati, pur distillati da una occasione esterna, non hanno nulla di estemporaneo o di contingente, ma condensano un’idea di letteratura maturata nel tempo, spesso con il concorso di chi poi nelle Lezioni ne è eletto ad emblema.

Su Hofstadter Calvino ha cose da dire, cose significative, che non ha ancora esplicitato e trova il modo di dirle nelle Lezioni; a Prigogine ha già attribuito un posto, non occorre citarlo, il lettore potrà misurarne la consistenza da solo; così di Stendhal o di Ariosto o di Conrad. Le Lezioni richiedono un lettore interattivo perché si pongono rispetto alla produzione precedente come il main program nei confronti delle subroutines.

Aveva forse bisogno Calvino di insistere sul mondo dell’Ariosto? Ma non basta sussurrare il suo nome per scatenare un turbine inarrestabile? E non basta forse affermare nell’Esattezza a proposito di Leopardi che «la ricerca dell’indeterminato diventa l’osservazione del molteplice, del formicolante, del pulviscolare» (I. Calvino, Lezioni americane, cit.,p.61) per rinviare a quanto di nuovo, si badi, di inedito, perché il resto era sedimentato, Calvino aggiunge nel 1980 su Stendhal, con una scarica di concetti tanto affini all’Esattezza da impiegare le stesse espressioni?

Le Lezioni sono al cospetto di tutta la produzione calviniana e da questa postazione Calvino riordina il tutto, il detto e il non detto ancora. Parole chiave, espressioni, concetti diventano righe di comando che rinviano alla saggistica e alla narrativa precedenti, attivando processi ricorsivi dai percorsi potenzialmente infiniti. Virel è una fonte del Castello, mai menzionata, per questo Calvino la deve accendere, Stendhal può restare un buco nero (non poteva certo Calvino far l’elenco della spesa) perché chiunque conoscendo Calvino è in grado di attivarne l’armamentario.

Ma anche le presenze, i punti luminosi del firmamento calviniano spesso non figurano strictu sensu, ma per quel che estraggono in quanto capolinea di un’idea, di un’intuizione, di un percorso, di una tendenza che si tira dietro un rosario di buchi neri e non.

Con le Lezioni Calvino guarda a Calvino con le regard éloigné della leggerezza. Nelle Lezioni Calvino rispecchia la sua letteratura sulla superficie convessa del retrovisore, orienta i campi di forze, punta i vettori, traccia le rotte, aggiustando dove necessario. Alla fine ottiene un quadro esatto della sua idea di letteratura, dei poli d’attrazione, delle linee di forza che la percorrono e dei rapporti che essa stabilisce con l’universo degli altri libri.

(A. Piacentini, Tra il cristallo e la fiamma, pp. 222-223)





Voci correlate

Antinomie e paradossi

Teorema di Gödel

D. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: un'Eterna Ghirlanda Brillante

La presente pagina fa parte di un ipertesto sulle Lezioni americane di I. Calvino e sulle Metamorfosi di Apuleio.

Indice delle voci